ArkilabO “Ignoto Compasso d’Oro”

Il più antico e prestigioso riconoscimento al design che proietta in tutto il mondo il talento italiano. La sua istituzione, nel ‘54, con l’obbiettivo di premiare l’estetica del prodotto, nasce da un’idea di Gio Ponti e dal sostegno dei grandi magazzini “la Rinascente” che ne commissionarono ad Albe Steiner il suo logo, rimasto immutato negli anni.
Quando, nel ‘59, il Premio venne donato all’ADI (Associazione per il Disegno Industriale), sempre in collaborazione con “la Rinascente” (il cui patrocinio cessò nel ‘64), il tema del premio divenne il disegno industriale.
La premiazione è lo sbocco di un lavoro di selezione che avviene attraverso gli osservatori territoriali, le commissioni tematiche e le pubblicazioni annuali.
Il premio Compasso d’Oro viene dato ai migliori prodotti uscenti da questa severa selezione, privilegiandone solo pochi su tantissimi esaminati complessivamente.
Vengono premiati il progettista e il produttore, insieme, attraverso il prodotto che hanno creato; il protagonista è quindi l’oggetto ed in senso più alto il design che nasce da questo felice connubio.
Vengono, inoltre, consegnati i premi alla carriera e quelli internazionali, attribuiti dall’ADI a figure di grande spicco che hanno contribuito, con la loro capacità ed attività d’impegno, a raccontare ed illustrare questa disciplina.
Sulla scia di questo riconoscimento, Bruno Munari, nel ’72, promosse il premio “Compasso d’Oro a ignoti” con l’intenzione di gratificare una produzione (in atto ancora prima dell’utilizzo del termine design), di oggetti rispondenti ad un perfetto equilibrio tra funzione, forma, materiale e tecnica, in continuo miglioramento secondo i materiali e le tecnologie usati. Sono oggetti di uso quotidiano, acquistati dalla gente non perché seguono mode ma perché ben progettati senza sapere da chi. Un riconoscimento così arrivò, fra i tanti, anche per l’attrezzo da vetrinista, per la scatola del latte parallelepipeda, per il lucchetto da serranda e per la lampada da garage.

Pubblicato sulla fanzine Carta Straccia #9, gennaio 2010. L’intero numero #9 in formato digitale è online.

ArkilabO “Giugiaro”

Di traguardi importanti nella vita, Giorgetto Giugiaro ha avuto il merito e la fortuna di viverne parecchi e tutti si sono riflettuti in altrettanti momenti importanti per la storia del prodotto automobilistico. Ha firmato macchine straordinarie, da quelle a vocazione sportiva alle utilitarie che hanno motorizzato l’Italia. Nel 1968, quando l’Italia faceva le sue rivoluzioni culturali, anche il designer, cresciuto in Fiat alla corte di Dante Giacosa e poi con Lucio Bertone, portava avanti la sua indipendenza ed insieme al socio Aldo Mantovani fondava la Italdesign
Il primo concept realizzato fu la Bizzarrini Manta poi, dalla matita che sapeva precorrere il tempo, sono arrivati tanti modelli che ancora oggi conquistano un posto nelle memorie di quanti le hanno possedute, ma anche dei più giovani. L’Alfasud, ad esempio, o la Golf, un vero colpo di teatro per la Volkswagen, produttrice di una vettura diventata immediatamente uno status symbol e le cui vendite superarono ogni aspettativa. Il successo è continuato con la Lancia Delta, un progetto davvero ben riuscito, che si è guadagnato il titolo di mito anche grazie alle vittorie ottenute nei rally. Nel 1980 conquistò il premio di auto dell’anno, oltre al favore del pubblico che accettò il prezzo non proprio concorrenziale. Questo fu anche l’anno di nascita della Panda, rispolverando un vecchio progetto stilistico che Giugiaro nel 1968 aveva pensato per la A112. Sua anche la Uno, grande respiro per la casa torinese. Ma, utilitarie a parte, dall’azienda sono uscite anche vetture sportive dalle prestazioni eccellenti. La Bmw M1 ne è un esempio, come la Maserati 3.2GT. Poi il sogno di avere, anzi di disegnare, la propria Ferrari: una ‘rossa’ con la sua impronta e il risultato, per il marchio del ‘cavallino’, è stato la GG50.
Dallo stesso tecnigrafo sono uscite anche l’Audi 80, la Thema, la Brera, la Saab 9000 turbo, la Renault 19, la Subaru SVX, l’Ibiza, ma la storia non finisce qui e per festeggiare i primi quarant’anni e prepararsi ad affrontare quelli successivi, la Italdesign, che conta sedi in Francia, Spagna, Germania, Cina e Giappone, ha proposto al Salone di Ginevra la Giugiaro 40, nome che celebra il traguardo importante. Sembra un buon auspicio per andare avanti, all’insegna di una strategia pronta a svelare continue sorprese nel design targato made in Italy.

Pubblicato sulla fanzine Carta Straccia #8, dicembre 2009. L’intero numero #8 in formato digitale è online.

ArkilabO “CyberCinema”

Ecco una lista di film, animazioni e documentari inerenti al tema cyberpunk. Alcuni sono film tratti o ispirati da autori cyberpunk, altri precedono quell’era della fantascienza passata alla storia. Il catalogo è stato costruito secondo il seguente schema:

Un estratto di questa lista è pubblicato sul supplemento alla fanzine Carta
Straccia
#7, novembre 2009. L’intero supplemento in formato digitale è online.

ArkilabO “Infinite stagioni di una lattina”

Il ciclo produttivo di una lattina, per costi e difficoltà, va oltre quello della bevanda che contiene. La materia prima, bauxite, una volta estratta (Australia), viene trasportata in uno stabilimento chimico dove una lavorazione (½ ora) trasforma tonnellate di bauxite in mezze tonnellate di ossido di alluminio. Quando se ne raggiunge una quantità sufficiente, si riempiono enormi container per il trasporto di minerali spedendoli in centrali idroelettriche (Svezia o Norvegia) per fornire energia a basso costo.
L’ossido di alluminio, prodotta energia elettrica, viaggia (1 mese) attraverso due oceani, e viene accumulato (2 mesi) in una fonderia. Qui, attraverso una lavorazione (2 ore) tonnellate di ossido di alluminio, vengono trasformate in quarti di tonnellate di alluminio, e immagazzinati in blocchi (10 m lato).
Questi blocchi, due settimane dopo, saranno riversati in stabilimenti di laminazione a caldo (Svezia o Germania) ed ogni blocco riscaldato (500 °C) verrà compresso per raggiungere uno spessore minimo (3 mm). Le lamine ottenute, arrotolate in rulli (10 t), sono raccolte in depositi e spedite in stabilimenti di laminazione a freddo (stesso paese o estero) per un’ulteriore compressione dello spessore (10 volte meno); ora la materia prima, alluminio, è pronta per essere impiegata nella produzione di lattine.
L’alluminio arriva in stabilimento ed inizia il suo ciclo di fabbricazione: le lamine sono tagliate e modellate in forma di lattine, poi vengono lavate, asciugate, trattate con una colorazione di fondo alla quale verrà sovrapposto il logo della bibita. Tappe successive saranno: la laccatura; la bordata, perché le lattine sono ancora sprovviste di un coperchio; il trattamento dell’interno, con un rivestimento protettivo che impedisce al liquido la corrosione del metallo; il controllo di qualità.
La lattine così ottenute, vengono sistemate su bancali di legno ed immagazzinate; da qui partiranno per lo stabilimento di imbottigliamento, dove, nuovamente lavate, verranno riempite con la bevanda. Le lattine piene vengono sigillate con coperchi di alluminio (1.500 minuto), confezionate in cartoni, anch’essi riportanti il logo della bibita.
Si arriva alle fasi finali di distribuzione: i cartoni di lattine partono verso i distributori locali e dopo breve tempo verso i supermercati. Adesso ogni consumatore potrà comprare i suoi 33 centilitri di bevanda.
Bere la bibita richiede pochi minuti, gettar via la lattina giusto un secondo. L’alluminio è un materiale riciclabile all’infinito, ma è incapace di compiere questi pochi passi che l’avviano ad una nuova stagione di vita senza il nostro aiuto. Ha camminato a lungo per raggiungerci, perché farla morire all’ombra di un cassonetto?

Pubblicato sulla fanzine Carta Straccia #5, settembre 2009. L’intero numero #5 in formato digitale è online.

ArkilabO “Oltre il prodotto”

Osservando una vetrina di un negozio, il nostro sguardo cade su un particolare prodotto. Un prodotto che emerge fra gli altri, nonostante l’uso che se ne andrà a fare e il suo dubbio valore estetico (magari l’apparire insolito potrebbe diventare il futuro punto di forza): conta subito l’emozione che scaturisce in noi e che farà grande il suo designer.
Il design suscita emozione e il valore affettivo veicolato dal progetto che lo ha generato, sviluppa, in noi, la capacità di far affiorare gusti e giudizi. Allora contano aspetto e forma, peso e struttura materiale. Tutte sensazioni considerate quando si presenta un qualsiasi prodotto al mondo. Le case automobilistiche, ad esempio, sanno perfettamente che il successo risiede nell’aver saputo tradurre le impressioni della gente comune di fronte al prototipo, nelle qualità accessorie dell’auto che porranno sul mercato.
Ma il design emozionale è solo uno degli assi nella manica di un designer. Si va oltre il prodotto, aumentandone la sua usabilità. La funzione può essere il più semplice dei criteri da rispettare, ma le esigenze delle persone non sono mai troppo palesi come possono sembrare.
Se un prodotto è già venduto, niente di più facile è studiarlo per correggerne gli eventuali vizi progettuali e riproporlo sul mercato innovato; ma come scovare un bisogno nascosto, che stagni in ognuno di noi, per farne scaturire nuovi prodotti di cui il mercato reclami la presenza? Potevamo mai immaginare che, un giorno, donne e uomini avrebbero desiderato, rispettivamente, wonderbra e viagra, tanto da arrivare a ritenere difficile la loro senza questi prodotti? Dunque l’imperativo è OSSERVARE!
I designer incapaci di analizzare al microscopio la popolazione che usufruirà delle loro creazioni, rivendicheranno sempre la paternità di prodotti scadenti. Il lavoro del buon progettista sta, infatti, nel trasformarsi in novelli archeologi di tecnologia industriale e ricercare necessità insoddisfatte e inespresse, scovare quelle esigenze che neppure le persone che le sentono riescono ad esprimere, spingersi oltre un bisogno palese, fondatori di un linguaggio che, attraverso i prodotti, parli direttamente alla gente.
Qui risiede la via per inondare il mercato di prodotti, validi per il designer quanto per il fruitore, merce carica di ricordi, di emozioni e di un uso consapevole.

Pubblicato sulla fanzine Carta Straccia #4, agosto 2009. L’intero numero #4 in formato digitale è online.

ArkilabO “The Golden Egg”

Egg di Arne Jacobsen ha compiuto 50 anni, ma, nonostante il tempo trascorso, questa particolare sedia non è invecchiata un solo giorno da quando fu creata, come curvo prototipo, nel garage di Jacobsen a Klampenborg (nord di Copenaghen). In origine doveva arredare hall e reception di un altro capolavoro di Jacobsen, il SAS Royal Hotel a Copenhagen, ma produzione e richiesta non si sono mai interrotte da allora.
La Egg, come suggerisce lo stesso nome, è un complemento d’arredo compatto, con cui Jacobsen perfezionò l’idea di una struttura fluida. La seduta, con schienale e braccioli uniti a formare un guscio, imbottita in gommapiuma e rivestita di pelle cucita a mano, pesa solo 13 kg. Jacobsen usava dire a proposito del suo design che “il fattore fondamentale era la proporzione”. Per non smentire questa filosofia, la sedia fu dotata di un meccanismo reclinabile per aumentarne il comfort, e di un successivo poggiapiedi nello stesso materiale, ideale per raggiungere la migliore inclinazione, bollandola definitivamente come prodotto futurista.
Fin dal principio, nella storia della Egg, la critica sottolineò come la sua forma a guscio dava un senso di protezione, e come più Egg insieme creavano un proprio spazio; un proprio ambiente. In parte una scultura, in parte un prodotto funzionale, l’elegante Egg – come tutti gli oggetti raffinati nella vita – non era un successo commerciale destinato a finire, e quando Jacobsen morì, nel 1971, divenne la sedia preferita dai fanatici dell’arredo. Correvano anche gli anni delle sue prime apparizioni hollywoodiane, sia sul set del film di Peter Seller The Party, sia cullando la bionda Marilyn Monroe in uno scatto fotografico divenuto leggendario.
Negli anni ‘90 la Egg divenne oggetto cult, arredando lussuose case, hotel e uffici e, disponibile in molteplici materiali e colori, rappresentò il prodotto preferito in spot e programmi TV. Nel 2005 fu definita “pezzo di resistenza“ di un raffinato appartamento ristrutturato, facendo il suo esordio anche nella comedy americana Will & Grace.
Nel mondo c’è ancora grande richiesta di vecchie e nuove Egg, alimentando le altrettante imitazioni, ma, solo la sedia originale, porta un numero di serie inciso sul piede, col quale la si protegge anche da eventuali furti.
La Egg riflette il tempo in cui fu disegnata, ma le aspettative di questo classico d’arredo vanno ben oltre, spingendosi fino alle recenti riproduzioni danesi in scala 1:6 e tenendo sempre viva l’età d’oro dell’Uovo.

Pubblicato sulla fanzine Carta Straccia #3, luglio 2009. L’intero numero #3 in formato digitale è online.

ArkilabO “Prodotto del cervello, cervello del prodotto”

Può sembrare un gioco di parole, ma ogni individuo con un cervello, ha una visione personale della realtà che lo circonda; cosa che lo distingue da qualsiasi prodotto scevro di una propria realtà logica.
Allora un prodotto assorbe parte del cervello del designer che lo crea ed è rivolto al cervello del fruitore che lo acquista. Sta qui la capacità del designer di immaginarsi la realtà del fruitore e la qualità del prodotto.
Il designer, così, non fa altro che unire capacità e tecnica alla comunicazione della propria realtà fusa con quella del fruitore.
La comunicazione, presumibilmente fortuita se carica del personale estro del designer, non deve condurre ad una posteriore scelta qualitativa del prodotto, ma alla sua pregressa rintracciabilità nel processo industriale, impossibilitato a correzioni postume.
Il lavoro del designer appare, quindi, come una nuvola di vincoli e, conoscere il cervello del fruitore, fa solo da guida al processo creativo, al pari dei materiali, dei costi, delle funzioni e della sicurezza che un prodotto porta con se.
I vincoli prendono spunto dall’approccio del cervello del fruitore, imprimendo al prodotto qualità di percezione, comprensione, atteggiamento e memoria.
La percezione instaura nel fruitore la ricerca di informazioni in specifiche zone del prodotto, portando la sua comprensione, contemporaneamente, ad una conoscenza globale e ad una locale, incentrata sulle singole funzioni. Forma e funzioni iniettano nel cervello un atteggiamento, automatico, di giudizio e fruizione, accrescendo la memoria sul futuro utilizzo del prodotto.
Se è vero che un cervello umano, automatizzando la sua attività, cerca di adottare un comportamento già visto, allora il designer dovrà riflettere sulle zone, sui tipi di funzioni del prodotto e sulla risposta che si attende dal fruitore, piuttosto che sulla mera forma.
D’ora in poi, scegliendo un prodotto, sarà inevitabile tornare col cervello alla peculiarità fondamentale del designer, di aver trasmesso una realtà, che oltre funzioni, tecnologia e cultura, dà sintesi di complessa conoscenza, personale e altrui, ma sempre in piena semplicità.

Pubblicato sulla fanzine Carta Straccia #2, giugno 2009. L’intero numero #2 in formato digitale è online.